E' uno di quei posti di cui senti parlare: "l'Opificio? Sì! me l'hanno nominato..." "Opificio? Come no, l'ho sentito..."
Ecco. Questo accade da qualche mese a Roma, nel giro di quelli che cercano.
In quel di Re di Roma, svoltando in una delle tante vie a destra, lo trovate poco dopo il famoso Pompi, regno del tiramisù e bar frequentatissimo in zona Appio.
Mister R, mio severo compagno di avventure, ha subito notato le lampade a fiamma viva fuori dal locale, accentuandole come "molto anni ottanta" e non c'è da dargli torto (potrei sottolineare l'esattezza della considerazione balzando avanti e menzionando l'agghiacciante colonna sonora del locale: dagli Wham agli Abba).
Opificio vuol dire fabbrica, stabilimento industriale e il richiamo all'ambiente del ristorante è diretto. Entrando, superata la prima piccola sala per l'aperitivo, si viene catapultati in una specie di capannone tinteggiato di bianco con lunghe file di tavoli a vista, apparecchiati stile Ikea: tanti bicchieri di vetro, tovaglia a fascia bianca e tavolo nero. Quest'ultimo potrebbe essere un Bjursta per esempio, o qualche suo parente stretto. Niente contro l'Ikea intendiamoci: casa mia è frequentata quotidianamente da Billy, Omar, Andy e molti dei loro amichetti.
Ci accolgono due ragazzi decisamente gentili. Lui non molto esperto e leggermente impostato, lei un tantino più a suo agio con la sala e il servizio che, per fortuna, non ha avuto toni né eccessivi né asfissianti se si escludono un paio di consigli non richiesti e poco interessanti. Oltre ai due ragazzi gentili, in sala era il deserto, giustificato dal numero dei coperti che ho visto servire dalle nove a chiusura: otto in tutto. Ok, è domenica sera, domani si lavora eccetera, però ho trovato quel vuoto sproporzionato all'ambiente aperto della sala. Questo tipo di architettura interna purtroppo funziona male senza clienti, in qualche modo ne sottolinea l'assenza. E comunque non c'erano clienti, cosa che potrebbe avere un significato di per sé.
Ma entriamo nel vivo.
Mister R ha consultato la lista dei vini scegliendo un Cabernet Sauvignon Riserva H.Lun del 2006, notando una proposta non proprio originale e un ricarico abbastanza alto sul prezzo delle bottiglie.
Intanto i gentili ci hanno servito una simpatica entrèe dello chef: gattò d'orata piccolo piccolo (com'è giusto che sia), molto interessante.
Poi gli antipasti.
Per Boccadirosa crostino con burrata e alici. Il crostino è stato artisticamente destrutturato: pane fritto in una ciotola, burrata in un'altra e stessa cosa per le alici. Niente male, ma avrei da ridire sul pane fritto. Già di per sé il piatto non è tra i più leggeri, magari un pane più delicato avrebbe esaltato il sapore della burrata e stressato meno fegato e apparato digerente.
A proposito di pane! Cestino di servizio poco poco poco interessante.
Mister R ha ordinato come antipasto un piatto di prosciutto al coltello che è stato indicato dalla gentile come "jamon Serrano". Il fatto è che Mister R è, tra le altre cose, un buon degustatore di prosciutti e secondo lui quello non era il famoso spagnolo. A dargli ragione potrebbe essere la voce del menù: prosciutto tagliato al coltello. Se avessi un jamon Serrano nella carta magari ne sarei orgoglioso e lo scriverei. Chissà, non ci è dato sapere con certezza.
Sempre per Mister R: crocchette d'agnello su purè di zucca. Niente per cui vale la pena morire.
Non avendo molto appetito siamo passati direttamente ai secondi: stracotto di manzo con riduzione di merlot accompagnato da cicoria e mini tortino di patate, petto di vitella con cipolle e verdure lesse (mi scuso se la dicitura dei piatti non è del tutto esatta ma non avevo con me penna e taccuino per copiare fedelmente dal menù). A parte una leggera sciatteria nella presentazione dei piatti (forse lo chef riposa la domenica…) nessuno dei due secondi ci ha colpito in modo particolare visto che ci siamo ritrovati a discutere di gestione della casa ed economia domestica, cose che vi garantisco non succede quando io e Mister R sprofondiamo nel vortice del gusto.
A chiudere un'ottima torta al cioccolato fondete al 75% e una bavarese al pistacchio e cioccolato (poco) fondente, accompagnati da due rhum (o dovrei dire ron?), uno guatemalteco l'altro della Guyana.
Prima di dirvi quanto abbiamo speso vale la pena fermarsi un secondo a parlare dell'atmosfera. Oltre alla già citata soundtrack stile: "il tempo delle mele", la cosa veramente fastidiosa è l'illuminazione del locale: luci altissime e mal distribuite.
Mister R ha poi notato come tutto quel vetro in esposizione sui tavoli appesantisca l'ambiente, per non parlare delle pareti bianche completamente spoglie. Un pugno nello stomaco.
E veniamo al piatto forte del locale: il conto. 123€ tutto compreso.
Non mi aspettavo molto di meno, lo confesso.
In conclusione non credo che tornerò ancora in visita all’Opificio, ma non voglio essere troppo severa. Credo che il posto possa offrire esperienze migliori di quella che abbiamo vissuto noi, solo che non mi ha lasciato sufficiente curiosità per tornare e verificare. Se ne avete voglia fatelo voi e poi raccontatemi, come sempre ogni parere è il benvenuto!
Boccadirosa
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