domenica 21 febbraio 2010

LA GATTA MANGIONA - Via Federico Ozanam 30, Roma

 
A quei navigatori ai quali non dovesse piacere la pizza, consiglio di non andare oltre nella lettura di questo post, perchè ogni parola sarà spesa per celebrare il meraviglioso italico alimento e quelli che, in modo straordinario, ne sanno esaltare le qualità e le potenzialità. E’ un post “di parte” perché la Gatta Mangiona è una delle pochissime pizzerie romane che fa della ricerca e della passione per questo tipo di ristorazione il suo grande punto di forza e ne siamo grati.
Navigatori miei, in questo non ci si improvvisa: ci vuole tanta dedizione e un pizzico di sana ossessivo-compulsività (passatemi il termine)

Procediamo con ordine

È pomeriggio dell’unico giorno libero che io e Mister R abbiamo in comune. Tra le altre cose lo passiamo a scorrere l’elenco dei posti dove andare a cena. Ci basiamo su semplici parametri che vanno dalla chiusura settimanale all’investimento medio che vogliamo fare, passando per quello di cui abbiamo voglia.   
Boccadirosa vorrebbe pizza, Mister R meno, quindi scegliamo un posto a “botta sicura” che soddisfi entrambi. La Gatta risponde perfettamente ai criteri selettivi di questa domenica sera perciò montiamo in macchina alla volta di Monte Verde, zona Piazza S. Giovanni di Dio.Via Ozanam parte proprio da quella piazza: cominciata la discesa trovate il locale poco dopo sulla destra.
L’ambiente è come deve essere: chiassoso, affollatissimo, pieno di famiglie, coppie e gruppi di amici. E’ una pizzeria in piena regola con tutto quello che questo comporta.
Giancarlo, uno dei proprietari, si aggira tra i tavoli ascoltando i clienti, consigliandoli sulle birre (lui ne sa), sul vino e sui piatti del giorno. Ci accoglie sorridendo e ci fa accomodare ad uno degli ultimi tavoli liberi al centro della sala. Non sono neanche le otto e venti di sera (consiglio sempre la prenotazione).
Conto le ragazze che servono in sala: sono sette, questo rende il servizio snello ed efficiente. 
Alla Gatta Mangiona non devi mai dimenticare di leggere le lavagne esposte in sala. E’ qui che Giancarlo segna ogni giorno le novità che propone e per esperienza diretta ci si deve assolutamente fidare. La carta è comunque talmente ricca che per scegliere tra sfizi, primi, secondi, fritti, pizze, crostini, calzoni e dolci si potrebbe tranquillamente passare una mezz’ora.
Io e Mister R  andiamo pazzi per i supplì. Stavolta ne scegliamo di due tipi: amatriciana e asparagi e zafferano. La cosa meravigliosa di questi piccoli bofonchiotti fritti è che subito dopo la crosticina croccante il palato entra in contatto con un vero e proprio risotto cucinato ad arte. La consistenza è fenomenale e il gusto inarrivabile. Giancarlo ha milioni di piccoli segreti per la produzione di queste opere d’arte mignon: dalla cottura del riso al modo per rendere perfetto il condimento. Non mancate di provarne quanti più il vostro stomaco vi conceda.
Ordiniamo poi dei carciofi fritti e un tortino di pappa al pomodoro e baccalà: la frittura dei carciofi è fatta con la sola farina che rimane bianca, asciutta e fragrante, il tortino è la quintessenza del pane e pomodoro con un velo bianco di pesce macerato al basilico. Eccellente.
Da bere abbiamo scelto una birra prodotta da un mastro birraio danese, molto amara e dissetante.
Tra le pizze segnate sulla lavagna scelgo la Fumo Verde: mozzarella di bufala affumicata, zucchine saltate e speck di Dobbiaco. Per Mister R la pasta del giorno: tonnarelli del pastore con ricotta, pecorino, pepe e pancetta.
La pizza della Gatta è fatta con un impasto lievitato per quarantotto ore con lievito madre. E’ leggera e digeribile. La consistenza è di quelle importanti in bocca, ne troppo sottile, ne troppo moscia, ne troppo invadente. Su questa base gli elementi sono disposti con cura a seconda delle diverse peculiarità in modo che leghino armoniosamente tra loro. Il risultato finale è frutto diretto di una grande amore per questa pietanza, e si sente. E’ come, a parer loro, la pizza dovrebbe essere (citando Mister R).
Anche il tonnarello non delude, ma io sono completamente rapita dalla mia Fumo Verde per prestarvi attenzione.
Terminiamo il pasto senza riuscire a finire quel che abbiamo nei piatti: i sapori sono avvolgenti e le quantità illustri, per una volta cediamo.
Il conto? Sui 45 euro, spesi davvero bene.
Lasciamo la Gatta molto soddisfatti con la promessa di tornare presto per spulciare altre delizie da lavagne e menù. In cuor mio spero che questo tempo non si dilati troppo.

Boccadirosa

venerdì 19 febbraio 2010

PRIMO AL PIGNETO – Via del Pigneto 46, Roma














Buongiorno navigatori cari.
Come si evince dal titolo, questo post di oggi è il resoconto della serata di domenica 14 Febbraio da Primo al Pigneto, locale ormai noto della capitale. Mi scuso con voi ma non posso non aprire una piccola parentesi su quel che è avvenuto prima di questa cena, cosa che mi ha impedito, sino ad oggi, di mantenere la posizione eretta, parlare ad un tono di voce udibile dagli esseri viventi (inclusi i cani), ingerire qualsivoglia nutrimento, andare al lavoro e, ovviamente, scrivere questo post come di consueto, il giorno stesso o il giorno dopo l’avvenuto “consumo”.

Non tutti sanno che il 14 Febbraio scorso ha segnato l’inizio dell’anno della Tigre nel calendario Cinese. Avrete notato come i simpatici orientali stanno popolando sempre più allegramente le nostre città e un paio di ‘sti ragazzi sono attualmente i miei datori di lavoro.
Domenica a pranzo ci siamo ritrovati noi lavoratori caucasici e loro capi cinesi, parenti dei capi e amici dei capi cinesi, intorno ad un tavolo imbandito di prelibatezze orientali per festeggiare il Capodanno: dall’anatra alla pechinese agli involtini primavera (quelli veri), dai granchi fritti alle (che Buddha mi salvi) lingue d’anatra, tre vassoi di ostriche, sei spigole, qualsiasi stravagante salsina agrodolce che sia mai stata preparata e fiumi di prosecco per brindare ogni sei secondi al felino anno nuovo. Tutto questo ha messo veramente a dura prova il mio stomaco, in particolare le terrificanti lingue d’anatra e il fiume alcolico che ci ha inondato. Da metà pasto in poi ricordo solo il folcloristico rumoreggiare dei miei nuovi amici asiatici nell’atto di ingoiare le ostriche, il succhiare e sputare teste di pesce con tanto di occhi e scaglie, i lievi e gentili ruttini prodotti durante il pasto (da loro si usa) e le inarrivabili (in termini di decibel) grida di giubilo e felicità. Un’esperienza antropologica unica e divertente ma devastante. Per riprenderci un po’ della nostra occidentalità io, Leggenda, Direttore, Margherita e Caramello (i miei colleghi) ci siamo accomodati in un bar per uno shottino d’amaro Lucano che, come per magia, si è trasformato in quattrordici, sì ho detto quattordici, schottini d’amaro Lucano. Ridotta in fin di vita sono tornata da Mister R che per fortuna riposava e mi sono aggiunta all’altra metà del letto sperando che dormisse ancora per qualche ora e così è stato. Ho recuperato giusto il necessario a poter ricevere il colpo di grazia. Di morire avrei avuto tempo la mattina successiva.

Nel mezzo c’è stato Primo e quanto segue è quel che è successo lì.


Mister R è in gran forma, Boccadirosa meno. Parcheggiamo dopo qualche litigata con prepotenti e prepotentesse della strada non troppo distante dalla zona pedonale del Pigneto. Come per altri quartieri trendy di Roma è consigliabile muoversi con i mezzi o con due ruote sperando che non piova come invece continua a fare da più di un mese. Ci accoglie un uomo gentile, credo uno dei soci e ci invita ad attendere qualche minuto fuori prima che si liberi il tavolo. Abbiamo prenotato ma oggi è pur sempre San Valentino e il locale è stracolmo di coppie in vena di celebrazioni (ancora con San Valentino, credo di aver pensato, oggi è Capodanno!).
In breve siamo seduti al nostro tavolo dalla forma ovale e senza tovaglia, non ho ancora capito se per scelta, per la forma, o perché avessero finito le stoffe.
Lo staff di sala è molto educato e professionale se si esclude qualche antipatia personale e nonostante ci sia veramente molta gente, il servizio risulta veloce e attento.
Sul menù sono segnati undici tra antipasti e selezioni, due zuppe, cinque primi, sei secondi e sei dolci.
Entriamo nel vivo.
Come antipasto Mister R ordina un carpaccio di baccalà, insalata di pomodori verdi e melone bianco, Boccadirosa una selezione di pecorini.
Osservo il volto di Mister R che, senza bisogno di parole e con il solo muovere leggermente gli angoli della bocca verso il basso, mi informa che il baccalà non è esattamente un'esplosione di gusto e che si sarebbe aspettato molto di più. I miei pecorini sono ugualmente poco interessanti. Nel frattempo ci viene servito il vino che abbiamo scelto dalla notevole selezione del locale: Chardonnay Saint-Romain “En Jarron” 2005. Si inzia a ragionare.
Mi sento in vena di primi e ordino il piatto di gnocchi di semolino, bottarga, uova di quaglia e salsa di broccoletti. La presentazione è accattivante: il verde della salsa fa da sfondo al giallo dei 3 grandi gnocchi di semolino puntinati di rosso (bottarga) con 3 piccole uova leggermente bollite al lato. Anche al palato non delude e finalmente riconosco la mano dello Chef Marco Gallotta. Mister R, in vena di perfezionismo, è altrettanto colpito ma si domanda la funzione delle uova di quaglia. Ora, per noi profani (ok, per me profana) un piatto dovrebbe essere bello e notevolmente buono, ma chi vuole andare oltre sa che il ruolo di ogni elemento della pietanza deve essere chiaro e funzionale. In questo caso l’amaro del broccoletto, il dolce dello gnocco e il sapore accentuato della bottarga già potrebbero bastare per creare il giusto equilibrio. E le uova? A che servono ‘ste benedette uova? Decisamente non ho la risposta.
Baccalà arrosto con broccoletti romani in salsa al nero di seppia, come secondo, ha invece soddisfatto appieno l’esigente palato del mio compagno di merende.
Per concludere: Crema Catalana e semifreddo alle mandorle con caramello al balsamico e mandarini, che onestamente non ricordo bene perché rapita dalla mia prima esperienza con uno strepitoso Calvados Dupont (e BasArmagnac Dartigalougue per Mister R).
La serata è stata bella e ricca di approfondimenti eno-gastronomici in chiacchiera, segno che il posto vale e che l’attenzione da Primo è sempre concentrata su quello che hai sul tavolo, nel piatto e nel bicchiere e non sulle faccende domestiche, sull'ultima partita della Roma o sulla scelta dei big del Festival di Sanremo.
Euro? 120 e ci sta.
AH! Quasi dimenticavo. Non credo sia all’altezza del locale il loro cestino del pane (sapete che ci tengo…).

Boccadirosa

domenica 14 febbraio 2010

OSTERIA DEL PESCATO - Via delle Cave di Pietralata 44-46, Roma


















Cozza pelosa, per quanto possa sembrare, non è un insulto.
"E' una cozza che cresce a 40 metri di profondità - ci spiega Omar, e Johnatan aggiunge - O si odia, o si ama per sempre"
Bene.
Io e Wolf abbiamo sposato la causa della cozza pelosa e visto che oggi è San Valentino, è proprio all’amato mollusco che dedico questo post. Ma procediamo con ordine.

Telefono a Wolf verso le cinque del pomeriggio. Siamo tutti eccitati per la visita alla ormai nota pescheria-osteria e ci accordiamo sull’orario. Alle 19.30 il rombo aggressivo della moto del mio amico annuncia il suo arrivo. Inforco il mio liberty e partiamo alla volta di via Tiburtina, schiaffeggiati da un freddo impietoso, ognuno sulla sua due ruote. Subito dopo il ponte svoltiamo a sinistra su via delle Cave di Pietralata, la pescheria ampia e completamente aperta sulla strada è lì subito a destra.
Ci accolgono i due fratelli di Civitavecchia, Johnatan e Omar.
Il locale è luminoso e ben arredato. Il lato sinistro è dedicato alla pescheria vera e propria, sulla destra invece ci sono tavoli e sgabelli intorno allo splendido bancone allestito per l’aperitivo. Io e Wolf siamo senza fiato. Balbettiamo qualcosa sul vino che Johnatan traduce con un Funtanaliras, Vermentino di Gallura, 2008. I nostri occhi, i nostri cuori e gran parte delle papille gustative sono rapiti dal pesce in esposizione: ostriche di diverse misure, ognuna delle quali ha un nome (tipo fin de claire o speciales), fasolari, cannolicchi e cozze di vario tipo, tra cui le divine pelose. Quindi il trionfo di carpacci: da quello di salmone con kiwi e finocchio al tonno marinato al limone e pepe rosa. Poi pesce spada affumicato, scampi crudi e soutè di tartufi in zuppa di cereali e legumi dello Chef Enrico Sebastiani.
Tutto questo ben di Dio ce lo ritroviamo apparecchiato sul nostro tavolo: un piatto con i crudi e a lato una splendida conchigliona bianca piena di ghiaccio tritato sul quale sono adagiate tre ostriche, due cozze pelose e un fasolare.
Wolf si impegna in una conversazione anche importante su vita, amore, amici ecc., io provo a stargli dietro rispondendo a tono ma la verità è che entrambi siamo catturati dal gusto inarrivabile del pesce: dall’erotismo dell’ostrica alla delicatezza della zuppa passando per le meravigliose cozze che sanno di mare vero, quello dove ti portavano da bambino, quello ancora azzurro senza buste di plastica e schiuma galleggiante.
Ragazzi, un’esperienza veramente inebriante.
Felici come due delfini a zonzo nell’oceano lasciamo la pescheria-osteria spendendo meno di cinquanta euro in due (non lo so con esattezza perché Wolf mi ha impedito di collaborare alla spesa), salutiamo e ringraziamo i due fratelli civitavecchiesi e finiamo la serata con Avy (diminutivo di Avatar) e Micia da Remigio, regno dello champagne, del vino e della tartare al coltello (via di S. Maria Ausiliatrice, Roma), ma questa, navigatori miei, è un’altra storia.
Un consiglio per San Valentino: volete essere originali? Basta con le rose, regalate solo Cozze Pelose.

Boccadirosa

Ps. Non lo faccio quasi mai ma oggi ne vale la pena:
Pescheria “dal Sor Duilio” alias Osteria del Pescato
Chiuso il lunedì e il giovedì.
Via delle Cave di Pietralata 44-46
Roma
Aperitivo consigliato (oltre il venerdì e il sabato) il martedì.

giovedì 11 febbraio 2010

PASTIFICIO - San Lorenzo Via Tiburtina 196, Roma

 

Vi presento qualche amico.

Wolf. Giubbetto rigorosamente di pelle, capello corto sparato, intelligenza da vendere e tanto buon gusto guidato dall'unica Dea: golosa e insaziabile curiosità.

Perla: lei ha l'orecchino. In pochi ce l'hanno, lei ce l'ha. Non è certo un'esperta di vino o stravizi culinari ma il suo giudizio è interessante sempre, in ogni occasione, pure fosse una mensa di barboni allestita per la notte di Capodanno.

Lubi. Ah! Se ne sa, Lubi. Lubi sta con Perla e Perla sta con Lubi: sono il perfetto Tao. Luce e ombra, aceto e zucchero, ogni contrasto di arte pura che vi sovviene alla mente.

Boccadirosa, Wolf, Perla e Lubi sono a cena al Pastificio, nel quartiere San Lorenzo di Roma. Mister R lavora stasera, Boccadirosa è sempre un po’ smarrita senza di lui ma darà del suo meglio.

Ore 20.15. E' una serata semplice, infrasettimanale.
Il posto è semi-deserto. Ci accolgono una serie di camerieri, cuochi, addetti all'aperitivo, barman e proprietari. Sono tutti in piedi accanto all’ingresso della cucina. Come attori di teatro sono in attesa che il sipario si alzi o che qualcuno gridi: 5 minuti! Siamo noi, in questo caso, a bussare al camerino.
Ordiniamo, prima ancora di sederci comodi, tre Franciacorta. La mescita delle bollicine è tutt’altro che ampia ma seduti senza bere per 15 minuti alcuni di noi non sanno stare.
La premessa è che Perla è quasi astemia mentre Lubi è costretto all’astinenza quindi del vino me ne occupo io e Wolf, sempre per la sua golosa e insaziabile curiosità, segue.
Dall’ampia-ma-non-troppo-e-un-po’-cara carta dei vini, scelgo Bradisismo 2005, Cabernet Sauvignon e Merlot: 38€
Consci tutti che avrei postato qualcosa su questo blog, ci guardiamo intorno. Io per prima, per questo detta Boccadirosa, noto che alcune sedie di un tavolo sul fondo assomigliano tanto a quelle da giardino nella casa in campagna dei miei genitori, del tipo: “Mario! Porta qualche sedia che quelle belle nere e comode che abbiamo non bastano!” , poi Lubi mi invita a guardare più attentamente ed in effetti la predisposizione dei tavoli risulta un po’ sciatta: Mario di ‘ste sedie ne ha portate parecchie, in netto contrasto con il resto dell’ampia unica sala.
Ad ogni modo siamo divertiti perché l’atmosfera è carina e cordiale. Ci lanciamo quindi nelle ordinazioni. Pronti?

Antipasto di Uovo in camicia, poi in carrozza e con carciofi in salsa non bene identificata ma a base sempre d’uovo. Fa scopa? Forse un po’.
Quattro piccoli crostini con mozzarella di bufala e prosciutto di Parma.
Wolf, responsabile dell’ordinazione dell’uovo in camicia in carrozza ecc. ecc., dice che è buono, abbastanza buono: “buono ma la salsa è un po’ pesante, meno male che il pecorino risolva un po’”.. questo dice Wolf.
I crostini sono come li faremmo noi a casa col prosciutto del GS e la mozzarella del bangla sotto casa consegna a domicilio, anche di notte.
Ci arriva poi l’entrèe dello Chef: pappa al pomodoro con mozzarella di bufala. L’idea l’abbiamo trovata bellissima, il gusto meno accattivante dell’idea.
Non vi ho detto del cestino del pane! Beh quello niente male: diversi tipi quasi tutti fatti da loro, serviti una sola volta ad inizio pasto in una ciotola di alluminio dell’Ikea. Buono, dico davvero.

Poi i primi: Lubi sceglie uno Spaghetto ajo e ojo, cime di rapa e gamberi rossi. Perla invece si getta con entusiasmo, raro per lei (orecchino, ricordate?), sui Ravioli di burrata, crema di broccoli e colatura di alici. Buffo da raccontare ma anche qui il loro contrasto artistico è inarrivabile: Spaghetti di Lubi un po’ salati e carenti di gamberi mentre Ravioli di Perla sciapi in un eccesso di salsina poco saporita. Devo confessare che dai Ravioli ci saremmo aspettati qualcosa di più mentre gli Spaghetti, se pur saporiti, a modo loro erano interessanti. Plauso allo Chef, peccato per il sale.

Secondi: Boccadirosa, viziata e godereccia ovvero io, mi sono avventata sul “Nostro Hamburger” che conoscevo, confesso, già molto bene. Non lo trovate nel menù, non più, ma provate a chiederlo. E’ un’esperienza golosa veramente accattivante. Va un po’ di moda come concetto, lo so, ma il loro è davvero buono. Ottima qualità della carne, pane morbido e delicato, salse homemade e chips (sfoglia di patate) a side.
Wolf, che avrebbe poi protestato, a ragione, per il ritardo nella consegna del suo piatto, si è lanciato nella Guancia di Manzo brasata e rosmarino con qualcosa a base di castagne. Cito testuale:
“Ma sì. Buona. La carne è cotta bene, morbida. Solo che non sento le castagne. E’ tutto un po’ troppo… delicato…”

Queste le opinioni a questo punto:

Perla: Bella atmosfera, carini loro, educati. Però rumoroso, troppo.

Lubi: Rumoroso ma almeno al tavolo riesci a parlare. Peccato per quelle sedie da giardino e per il sale sulla ajo e ojo.

Wolf: vino buonissimo, morbido, alcolico quanto basta. Piatti da lavorare meglio. Cestino del pane più buono dell’antipasto.

Boccadirosa: AH! Io non saprei. Ho mangiato qui altre volte, l’impressione è più o meno la stessa: la sala lavora bene, pur in totale assenza di regia (direbbe Mister R), le pretese sono alte, i costi pure. Capita comunque di stare bene qui. Il salone aperto è familiare, a tratti confortante e più diventa vissuto (il locale ha aperto da pochissimo) e più la scopa che aveva conficcata su per… ups… boccadirosa si scusa, insomma qul loro modo di tirarsela un po’ tende a svanire. Vediamo cosa faranno, cosa inventeranno, No? Mister R sarebbe più severo, lo so.

Comunque, navigatori miei. Prezzo Finale: 160 euro, compresi soufflè di cioccolato fondente (direi il loro cavallo di battaglia) e Crème Caramel alla liquirizia (poca liquirizia a sentir Lubi)

Potrebbe andare peggio. Potrebbe piovere!

A ritrovarci
Boccadirosa

lunedì 1 febbraio 2010

OPIFICIO - Osteria con cucina - Via albalonga, 48 - Roma (RM) Italia

E' uno di quei posti di cui senti parlare: "l'Opificio? Sì! me l'hanno nominato..." "Opificio? Come no, l'ho sentito..."
Ecco. Questo accade da qualche mese a Roma, nel giro di quelli che cercano.

In quel di Re di Roma, svoltando in una delle tante vie a destra, lo trovate poco dopo il famoso Pompi, regno del tiramisù e bar frequentatissimo in zona Appio.
Mister R, mio severo compagno di avventure, ha subito notato le lampade a fiamma viva fuori dal locale, accentuandole come "molto anni ottanta" e non c'è da dargli torto (potrei sottolineare l'esattezza della considerazione balzando avanti e menzionando l'agghiacciante colonna sonora del locale: dagli Wham agli Abba).

Opificio vuol dire fabbrica, stabilimento industriale e il richiamo all'ambiente del ristorante è diretto. Entrando, superata la prima piccola sala per l'aperitivo, si viene catapultati in una specie di capannone tinteggiato di bianco con lunghe file di tavoli a vista, apparecchiati stile Ikea: tanti bicchieri di vetro, tovaglia a fascia bianca e tavolo nero. Quest'ultimo potrebbe essere un Bjursta per esempio, o qualche suo parente stretto. Niente contro l'Ikea intendiamoci: casa mia è frequentata quotidianamente da Billy, Omar, Andy e molti dei loro amichetti.

Ci accolgono due ragazzi decisamente gentili. Lui non molto esperto e leggermente impostato, lei un tantino più a suo agio con la sala e il servizio che, per fortuna, non ha avuto toni né eccessivi né asfissianti se si escludono un paio di consigli non richiesti e poco interessanti. Oltre ai due ragazzi gentili, in sala era il deserto, giustificato dal numero dei coperti che ho visto servire dalle nove a chiusura: otto in tutto. Ok, è domenica sera, domani si lavora eccetera, però ho trovato quel vuoto sproporzionato all'ambiente aperto della sala. Questo tipo di architettura interna purtroppo funziona male senza clienti, in qualche modo ne sottolinea l'assenza. E comunque non c'erano clienti, cosa che potrebbe avere un significato di per sé.

Ma entriamo nel vivo.

Mister R ha consultato la lista dei vini scegliendo un Cabernet Sauvignon Riserva H.Lun del 2006, notando una proposta non proprio originale e un ricarico abbastanza alto sul prezzo delle bottiglie.
Intanto i gentili ci hanno servito una simpatica entrèe dello chef: gattò d'orata piccolo piccolo (com'è giusto che sia), molto interessante.

Poi gli antipasti.

Per Boccadirosa crostino con burrata e alici. Il crostino è stato artisticamente destrutturato: pane fritto in una ciotola, burrata in un'altra e stessa cosa per le alici. Niente male, ma avrei da ridire sul pane fritto. Già di per sé il piatto non è tra i più leggeri, magari un pane più delicato avrebbe esaltato il sapore della burrata e stressato meno fegato e apparato digerente.
A proposito di pane! Cestino di servizio poco poco poco interessante.
Mister R ha ordinato come antipasto un piatto di prosciutto al coltello che è stato indicato dalla gentile come "jamon Serrano". Il fatto è che Mister R è, tra le altre cose, un buon degustatore di prosciutti e secondo lui quello non era il famoso spagnolo. A dargli ragione potrebbe essere la voce del menù: prosciutto tagliato al coltello. Se avessi un jamon Serrano nella carta magari ne sarei orgoglioso e lo scriverei. Chissà, non ci è dato sapere con certezza.
Sempre per Mister R: crocchette d'agnello su purè di zucca. Niente per cui vale la pena morire.

Non avendo molto appetito siamo passati direttamente ai secondi: stracotto di manzo con riduzione di merlot accompagnato da cicoria e mini tortino di patate, petto di vitella con cipolle e verdure lesse (mi scuso se la dicitura dei piatti non è del tutto esatta ma non avevo con me penna e taccuino per copiare fedelmente dal menù). A parte una leggera sciatteria nella presentazione dei piatti (forse lo chef riposa la domenica…) nessuno dei due secondi ci ha colpito in modo particolare visto che ci siamo ritrovati a discutere di gestione della casa ed economia domestica, cose che vi garantisco non succede quando io e Mister R sprofondiamo nel vortice del gusto.

A chiudere un'ottima torta al cioccolato fondete al 75% e una bavarese al pistacchio e cioccolato (poco) fondente, accompagnati da due rhum (o dovrei dire ron?), uno guatemalteco l'altro della Guyana.

Prima di dirvi quanto abbiamo speso vale la pena fermarsi un secondo a parlare dell'atmosfera. Oltre alla già citata soundtrack stile: "il tempo delle mele", la cosa veramente fastidiosa è l'illuminazione del locale: luci altissime e mal distribuite.
Mister R ha poi notato come tutto quel vetro in esposizione sui tavoli appesantisca l'ambiente, per non parlare delle pareti bianche completamente spoglie. Un pugno nello stomaco.

E veniamo al piatto forte del locale: il conto. 123€ tutto compreso.
Non mi aspettavo molto di meno, lo confesso.

In conclusione non credo che tornerò ancora in visita all’Opificio, ma non voglio essere troppo severa. Credo che il posto possa offrire esperienze migliori di quella che abbiamo vissuto noi, solo che non mi ha lasciato sufficiente curiosità per tornare e verificare. Se ne avete voglia fatelo voi e poi raccontatemi, come sempre ogni parere è il benvenuto!

Boccadirosa